© Rosa Maria Corti
Ginevra della Valle Bianca
Quante volte avevo compulsato la pagina di face book alla voce gattile nella speranza di trovare un micio o una micia con cui condividere gioie e crucci, cose meravigliose e anche misteriose? Davvero tante! Purtroppo le gentili signore contattate per avere notizie dei piccolini che avevano attirato la mia attenzione mi avevano fornito più volte la stessa risposta: “Il piccolo è già stato affidato”! “Possibile – mi chiedevo – che siano tutti così veloci nello scorrere gli annunci e nell’ottenere informazioni?”. A dire la verità, tutta la verità, una risposta affermativa l’avevo avuta, ma le caratteristiche del leopardo in miniatura che aveva catturato la mia attenzione mi avevano lasciato un po’ perplessa. Il Bengala, infatti, ha ereditato dai suoi antenati selvatici uno splendido mantello brillante con “rosette” marmorizzate …. ma anche l’abitudine alla caccia, specialmente notturna. Ecco, l’idea di essere svegliata nel cuore della notte da rumorosi miagolii invitanti a partecipare alla sua attività preferita, la caccia appunto, con agili e atletici balzi e corse all’impazzata sulle tracce di prede immaginarie, mi lasciava alquanto perplessa. Eh, eh, non sono più una ragazzina…
Poi, un giorno, per caso mi sono imbattuta nell’annuncio di un’allevatrice neppure molto distate da casa, giusto una quarantina di chilometri, e, che dire? Colpo di fulmine! Quella gattina dagli occhi color zaffiro che cercava una famiglia che la potesse amare e coccolare per tutta la vita, sembrava dirmi: “ Forza, non indugiare! Io ti sto aspettando da cinque mesi!”. Mia madre avrebbe detto che se è destino non c’è niente da fare. Giorni, anni, non importa, quello che deve accadere accadrà. E così Ginevra, una dolcissima birmana dal musetto bruno e zampine candide, è entrata nella mia vita conquistando subito anche il mio amato consorte. Una leggenda della Birmania dice che Tsun-Kyanksé, dea della trasmutazione delle anime, aveva il potere di reincarnare i monaci a lei fedeli in un animale sacro prima di riprendere le loro sembianze in un corpo Aura, corpo della perfezione totale. Così accadde al più santo di tutti i monaci, il Kittah Mun-Hà. Quest’ultimo, vittima di un attacco di predoni penetrati nel suo monastero, si accasciò morente ai piedi della dea. Il suo fedele gatto bianco Sinh iniziò a fissare gli occhi della dea come per chiederle aiuto e, improvvisamente, il suo mantello divenne dorato come la pelle della dea; le zampe, il muso, le orecchie e la sua coda maestosa assunsero il colore della terra e diventarono brune. La Dea donò poi a Sinh ciò che aveva di più bello: i suoi occhi mutarono in un blu zaffiro intenso e profondo; solo i piedi di Sinh posati sul corpo del monaco, rimasero di un bianco candido, simbolo di purezza. Da cattolica, non dovrei credere alla teoria della reincarnazione o “trasmigrazione delle anime”- la metempsicosi dei greci- che fu condannata nel lontano 553 durante il Concilio ecumenico di Costantinopoli indetto da Giustiniano, ma questa gatta ha qualcosa di monacale, di severo e saggio contemporaneamente, quantomeno si direbbe una maestra zen di cui sto diventando discepola devota.
Intendiamoci però, per ora alla pratica della meditazione ci dedichiamo per poco tempo! Dobbiamo imparare a conoscerci reciprocamente e Ginevra si deve abituare alla sua nuova casa. Se sentiamo un rumore, non riusciamo a non pensare a esso, il nostro respiro accelera anziché rallentare…
Le scrivanie, al momento, sembrano essere la sua passione e sugli schermi del computer e del tablet la piccola mostra di apprezzare lo scorrere delle immagini dei suoi simili, dei fiori e degli alberi; naturalmente non manca di esprime le sue preferenze toccando il soggetto prediletto con la zampina Inoltre, non dimentichiamo che è cucciola e come tale adora il gioco, la caccia al topo soprattutto. Il topo è un fermacapelli di visone appartenuto alla nonna al quale abbiamo attaccato una lunga coda-cordoncino color vinaccia che Ginevra in una sorta di danza sfrenata fa saltare in aria per afferrarlo in seguito con balzi e avvitamenti perfetti. Poi lo rilascia, lo studia, si avvicina lentamente a piccoli passi furtivi, strisciando un poco sulla pancia e, infine, lo cattura nuovamente. In confidenza vi dico che tutti questi assalti anziché indebolire il topo, mettono a dura prova la sottoscritta che cerca di partecipare alla singolar tenzone con l’obiettivo fotografico sentendosi un po’ Walter Chandoha alla ricerca di qualche scatto fatto sì con gli occhi ma per il cuore…
Natale con Ginevra
Primo Natale con Ginevra. Un’antichissima leggenda dice che nella grotta di Betlemme, mentre nasceva Gesù Bambino, sulla paglia accanto a lui una gatta dava alla luce i suoi piccoli. Per noi è stata una vera gioia l’arrivo della piccola Dea della Valle Bianca, Ginevra, dal mantello simile a quello del suo babbo, Gic Wladimir, un maschio seal point, che è un vero campione. In poche ore la piccola ha rivoluzionato la nostra vita; la dolce compostezza, ereditata dalla mamma Tahobis Elouera, infatti, lascia il posto alla sfrenatezza nei momenti di gioco. E, allora, sono corse pazze che vedono lei nella parte della cacciatrice e la sottoscritta nella parte della preda che si nasconde dietro le tende fino a quando viene scovata. Cosa che avviene molto presto! Il batticuore che ci aveva accomunate durante il tragitto verso la sua nuova casa, ha lasciato ben presto spazio a un’intesa speciale e la mattina di Natale è stato dolcissimo essere risvegliata con leccatine sul viso, testatine, dolci morsetti alle dita, tiratine al polsino svolazzante della camicia da notte e fusa a profusione! Un vero diesel ha commentato Giorgio, mio marito, che comunque è stato gratificato d’identico trattamento, come espressione di grande senso di appartenenza al gruppo. Quelle fusa ci hanno comunicato un grande senso di pacificazione e questo stato d’animo ci ha accompagnato per tutta la giornata natalizia.
Prima settimana di Gennaio.
Ginevra cresce in fretta, si fa più sicura di sé; il suo aspetto, nel breve volgere di due settimane mi sembra diventato più imponente. La osservo quando mi viene incontro e mi sfiora delicatamente le gambe con la coda ritta come un pennacchio che si muove come se tremasse al soffio leggero del vento e mi fa pensare alla piumosa e soffice salvastrella dei boschi orobici. Tiene la testa sollevata e, più che con la voce, mi parla con il corpo, soprattutto con gli occhi. Ha uno sguardo profondo ed espressivo, accentuato da stupendi occhi blu intenso, che mi fissano attentamente, cosa insolita per tutti gli altri felini e mostrano interesse non solo alle novità ma anche al funzionamento delle cose. Quando alzo le tapparelle osserva lo scorrere della cinghia, quando gioca con il suo pescetto sembra capire che le mosse del tapino dipendono dal movimento del cordino legato a sua volta con bel nodino a una bacchetta di legno. Sa muoversi leggera ed elegante ma diventa addirittura irruente quando, premiata con goloso croccantino al formaggio, per aver eseguito, ad esempio, alcuni palleggi fantastici con la sua pallina di stagnola, ripete agilmente il gioco. A proposito di agilità, se prima Ginevra utilizzava diversi piani di appoggio per giungere all’altezza desiderata, ora spicca eleganti balzi per arrivare sul letto, per rincorrere le piume–uccello sulla testata della poltrona, per risalire l’armadio quattro stagioni ricoperto con pannofix adesivo marrone che lo rende molto simile a un albero. In quest’ultimo caso ho cercato di dissuaderla, ma la birbante se la ride, mi guarda con i suoi occhioni spalancati e un’espressione furba, finge noncuranza per qualche istante poi parte come un razzo fino a un’altezza di circa un metro e ottanta. L’armadioalbero ne fa le spese, mi sono però pentita d’aver redarguito Ginevra, in fondo è cucciola e femmina, e anche se la sua personalità si sta rivelando forte e spiccata, chiede soprattutto coccole e tanto affetto. I rimproveri alla fine sono serviti solo a mortificare la sottoscritta. Se rido quando balza sul letto, si diverte a inscenare scatti con fuga per poi tornare a ripetere la messa in scena e poi andare a riposarsi in salotto sulla sua poltrona preferita nella posizione della Sfinge con le zampine stese in avanti che mettono in mostra i suoi candidi guanti. A proposito, il suo soffice e setoso mantello mi sembra diventato più spesso. Saranno i golosi premietti che il mio consorte, suo adoratore-schiavo, le concede a mia insaputa (almeno così crede lui… ah, ah, ah), o il gene Hymalaiano che vien fuori con la crescita?
L’Epifania tutte le feste porta via
La Befana ha dimenticato sul nostro tavolo le sue calze rosse. Ginevra si è avvicinata ad esse con circospezione e le ha annusate senza osare toccarle; forse ha pensato che la Befana sarebbe tornata a riprendersele. Invece la vecchina non solo ha dimenticato le calze manon si è portata via nemmeno il virus, anzi durante le vacanze natalizie quest’ultimo si è diffuso fra studenti, e anche ministri e virologi. Il tasso di positività è schizzato oltre il 19% e si sono registrati più di 200000 nuovi contagi in un giorno. Sono numeri che preoccupano Presidi e Presidenti di alcune regioni che chiedono a gran voce la didattica a distanza. L’obbligo alla vaccinazione per chi ha più di cinquant’anni non risolve il problema della scuola, con i ragazzi che spesso utilizzano i mezzi pubblici stipati come sardine nelle scatolette. Accanto a genitori che temono una sorta di lockdown scolastico, molti addetti alla sanità temono che non sarà possibile sostenere i ritmi dei tamponi agli studenti nei prossimi giorni… Ginevra viene a strofinarsi silenziosamente e delicatamente sulle mie gambe con un accenno di fusa. Sembra voler dire “Non ti preoccupare, guarda c’è il sole che splende là fuori e sono sbocciati i ciclamini!”. Allora usciamo sul balcone e Ginevra, che tengo in braccio perché non abbiamo ancora provveduto alla necessaria recinzione-protezione, annusa un ciuffetto di gerani rossi che hanno aperto le loro corolle fuori stagione e sembrano offrirle un festoso benvenuto. In lontananza, sul Monte Legnone, qualcosa che brilla in mezzo alla neve pare farci l’occhiolino.
Domenica 9 gennaio. In attesa di nuove regole
Dopo la consueta mattinata di coccole con tanto di riporto nel lettone di “topo-topo” (per intenderci quello fatto con il fermacapelli di visone e coda-cordino color vinaccia, non quell’altro acquistato in negozio, un topino bianco con la boccuccia rossa al quale Ginevra fa spiccare balzi prodigiosi fino a quando riesce a sciogliere il nodino dell’elastico che lo tiene agganciato al pomello di un’anta) e la sessione di gioco, nel pomeriggio Ginevra si è acciambella sulla scrivania davanti al computer. Sembra pensierosa e ascolta mio marito che mi espone le ultime novità sulla scuola la cui ripresa si prospetta complicata. Ci sono studenti positivi – mi dice- studenti in quarantena o in sorveglianza, studenti impossibilitati a recarsi a scuola, studenti che hanno fatto il tampone di controllo ma non hanno ancora comunicato il risultato. Anche fra i docenti e il personale ATA c’è qualche assente. Ginevra aguzza le sue orecchiette piccole, con le punte arrotondate poi, ci mostra il suo profilo alla romana, si accomoda meglio ed emette un sospiro. Eh, sì, non c’è da stare allegri, tant’è che alcuni giornalisti oggi scrivono che ci saranno classi con più banchi vuoti di quelli occupati dagli studenti e che i numeri dei positivi schizzano man mano che i presidi aggiornano i dati. A questo punto Ginevra si alza, fa la gobba, si stiracchia, agita la sua morbidissima coda a pennacchio, che con il riflesso del sole ha qualcosa di magico, poi mi guarda e sembra volermi dire di non essere pessimista. Di certo ha ragione Ginevra, alla fine si trova sempre una soluzione. Una professoressa di Lodi nel periodo buio del Covid, quando sembrava che il mondo fosse impazzito con i vicini che si spiavano vicendevolmente, i fratelli che iniziavano a litigare fra loro e i figli che si allontanavano dai genitori, aveva proposto ai suoi studenti di raccontarsi storie come fecero i protagonisti del Decameron durante la peste del 1348. Se si dovesse ricominciare con la didattica a distanza si potrebbe prendere spunto da quell’idea, e se class room fosse ancora complicata per qualcuno, ci sono pur sempre i messaggi vocali e Whatsapp. Raccontarsi storie, scrivere poesie! Beh, si può tentare. Ci provo anch’io con un testo dedicato alla mia piccola Ginevra intitolato:
“ Ho veduto”.
Ho veduto vibrare
le tue labbra nel sonno
forse rincorrevi gli uccelli
che hai udito cantare
nella realtà virtuale.
Ho veduto l’ombra
di un sorriso beato,
specchio di un sonno fidato
che appaga come una carezza.
Per non risvegliarti
a labbra chiuse ti ho ringraziato.
10 gennaio
Questa mattina Ginevra ha deciso di anticipare la sveglia alle cinque con doppia dose di fusa, testatine e leccatine; evidentemente l’istinto felino le ha fatto capire che sono terminate le vacanze natalizie e per mio marito oggi riprendono le lezioni. Detto addio al sonno, eccomi lì’ a leggere due pagine, poi doccia e pettinata veloce con l’orecchio alla radio dove un tizio sta parlando di pesci con la pancia piena di mozziconi di sigarette, di montagne fatte di abiti usati, ma anche nuovi, con tanto di cartellino, che giacciono nel deserto di Atacama, un’enorme discarica frequentata da donne con bambini che cercano qualcosa per sé o da poter vendere. Il tale che sta parlando alla radio aggiunge qualcosa a proposito del Leviatano. Penso subito al gigantesco e voracissimo mostro acquatico della tradizione biblica, ma tizio, che si esprime per metafore, allude all’onnipotenza dello Stato nei confronti dell’individuo e lamenta la mancanza di comunicazione da parte di chi invece dovrebbe metterci la faccia su provvedimenti come quello dell’ obbligo vaccinale per chi ha più di cinquant’anni, sulla situazione della scuola, sull’aumento delle bollette, ecc, ecc. A questo punto spengo la radio, esco dal bagno e accompagnata dal miagolio dolce e sommesso di Ginevra, mi reco in cucina per darle un po’ di tonno e gamberetti di cui sembra molto golosa, preparo la terza pallina di carta stagnola- è stata abilissima nel nascondere le altre due – e gioco un poco con lei. Per la verità oggi Ginevra fa tutto da sola: lancia la pallina con la zampetta, la rincorre, palleggia, poi la riporta stringendola in bocca e si sdraia sul tappeto per riprendere fiato. So che le basterà poco tempo, ma ne approfitto comunque per sbrigare le faccende di casa; c’è da sparecchiare il letto, passare l’aspirapolvere, pulire la sua lettiera e preparare un po’ di verdura come accompagnamento al pollo arrosto.
11 gennaio
“I professori ci sono tutti, mancano invece un po’ di alunni”, mi informa Giorgio al suo ritorno da scuola. Lo stile è telegrafico, evidentemente oggi non ci sono grosse novità e poi, intuisco, vuole sapere di Ginevra. Lo prevengo raccontandogli che durante la mattinata si è mostrata interessata alle verdure che stavo affettando per la preparazione del minestrone, a verze e porri, in particolare, che ha annusato con il suo simpatico tartufino scuro; ha annusato anche il vento attraverso la portafinestra a vasistas che dà sul terrazzo dove sono fioriti i ciclamini rosa e premono gonfie le rosette delle Kalanchoe. É un vento che spazza il cielo e rischiara il paesaggio facendo sognare la primavera, che trasporta per sentieri conosciuti in angoli remoti dove dimenticare per qualche istante distanziamento e isolamento. Il virus imperversa ancora, nonostante tutto, e mi fa sentire prigioniera, chiusa in una bolla, come la “Tusa del canatori”, nume tutelare, protettrice del focolare domestico, che mi è stata regalata a Natale dall’amica Rina. Se guardo la “tusa”, questa piccina con le treccine, simbolo del faticoso lavoro minorile, che, insieme alle sue coetanee in Valle Intelvi, ma non solo, faticava per trasferire il filo di seta dalle matasse del bozzolo ai rocchetti della filatura, non posso non ricordare che gli incannatoi, quelli sì che potevano diventare una prigione! Quando si hanno nove, dieci, undici anni, si dovrebbe poter giocare all’aria aperta e non lavorare notte e giorno in un ambiente non sempre sicuro; così poco sicuro che, quella notte del 1930, due giovani di Schignano perirono nell’incendio del “canatori” di Dizzascodopo aver tentato inutilmente di scappare dalle finestre cinte di robuste grate. Lo stare insieme, tanto agognato in tempo di lockdown, certo loro era concesso, unicamente perché stando sedute molto vicine le une alle altre potevano meglio essere controllate dai direttori. “Controllare, testare, tamponare, chiudere, isolare”, riusciremo mai a dimenticare queste parole? Per ora credo di no, ci sentiamo ancora fragili come l’esercito di terracotta cinese, quello della città di Xian dove, da prima di Natale, è scoppiato il più grave focolaio dai tempi di Wuhan. Ginevra a questo punto sbadiglia, sembra dirmi che l’ho fatta un po’ troppo lunga e che è disposta a scusarmi solo in cambio di un goloso croccantino. Direi che se lo è meritato e così, mentre lei sgranocchia il suo premietto al formaggio, io leggo un Haiku che ho improvvisato in suo onore:
“Scende la sera./ Risplende il cielo/ nei tuoi occhi”.
Ginevra mi propone le sue considerazioni feline sotto forma di fusa. Pare che l’Haiku le sia piaciuto! Forse è stata solleticata nella sua vanità femminile o forse ha colto il sincero stupore, uno stupore quasi infantile, che mi prende talvolta osservandola, oppure, terza ipotesi, ama la poesia come la gatta certosina dell’amico Wolfango, artista e poeta. Allora decido di leggerle un antico Hokku del maestro Matsuo Basho:
Al vecchio stagno
una rana salta dentro.
Suono dell’acqua.