Animali in casa: il padrone può sfrattare l’inquilino con animali?

Animali/ Rischio sfratto per gatti largo Argentina a Roma - La Nuova  Provincia

Quando si va in affitto, l’inquilino deve seguire alcune regole, soprattutto per quanto riguarda gli animali in casa. Ma il padrone di casa può sfrattare l’inquilino con animali? Vediamo cosa dice la legge.


Animali in casa: la convivenza fra animali e condomini può essere spesso difficile, soprattutto per certi temi, come i rumori molesti e la pulizia.

Ma cosa succede quando si è in affitto e il padrone di casa non accetta animali domestici? Oppure, il padrone di casa può sfrattare un inquilino che ha adottato animali?

Vediamo cosa dice la legge.

Animali in casa: le regole sul condominio e nei contratti di affitto

Come detto, la convivenza fra animali e condomini può non essere facile, soprattutto per quanto riguarda rumori molesti (anche a tarda notte) e la pulizia degli spazi comuni.

Per quanto riguarda il condominio, esiste la Legge 220/120, nella quale si dice che un condominio non può vietare la presenza e il possesso di animali domestici. Questo perché cani e gatti vengono considerati come parte del nucleo famigliare e vietarne la presenza significherebbe ledere i diritti personali e individuali dei proprietari.

Anche se tutti i condomini approvassero all’unanimità il divieto di possesso di animali, la clausola potrebbe essere annullata con facilità, come chiarito dal Tribunale di Cagliari nell’ordinanza n°7170/2014 del 22/07/2016.

Lo stesso, però, non vale nei rapporti tra affittuario e padrone di casa. Quest’ultimo, infatti, ha la facoltà di impedire all’inquilino di ospitare un animale domestico. Il divieto, però, deve essere esplicitato nel contratto d’affitto (che deve essere registrato).

È superfluo dire, infatti, che se siamo di fronte ad un affitto non registrato (il cosiddetto “affitto in nero”), le clausole su un eventuale divieto di possesso di animali domestici non hanno effetto e l’inquilino non è tenuto a rispettarle.

Animali in casa: l’inquilino può rischiare lo sfratto?

Lo sfratto può avvenire solamente per un grave inadempimento del contratto, che deve trovare fondamento in una clausola scritta espressa.

Se la clausola sul divieto di possesso di un animale domestico fosse presente in un contratto registrato e l’inquilino portasse un animale in casa, allora rischierebbe sicuramente lo sfratto.

Lo sfratto avverrebbe con la procedura abbreviata, prevista per chi non paga il canone o per chi resta nell’appartamento, nonostante la scadenza del contratto.

Questo caso specifico può sussistere solamente nel caso che la clausola sia presente fin dall’inizio. Infatti, il contratto di affitto, una volta che viene stipulato, non può essere modificato.

In parole povere, il padrone di casa non può aggiungere “in corso d’opera” una clausola relativa al possesso di animali in casa. Per poter aggiungere qualsiasi clausola, bisognerebbe risolvere il precedente contratto e stipularne un altro, che andrebbe, ovviamente, registrato nuovamente.

Animali in casa: gli obblighi dell’inquilino

Anche se nel contratto non sono presenti clausole che vietano il possesso di animali domestici, l’inquilino sarà comunque obbligato a seguire alcune regole.

Oltre alle regole del condominio (la pulizia degli spazi in comune e il contenimento dei rumori), sarà obbligato a mantenere l’appartamento in buono stato e di restituirlo nelle stesse condizioni in cui è stato consegnato.

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Un database europeo di metodi alternativi alla sperimentazione animale

Beagle esposto ad una mostra canina

Il beagle è la razza canina più utilizzata per la sperimentazione animale © Jamie McCarthy/Getty Images

Nel budget 2022 dell’Unione europea ci sarà anche spazio per il primo database pubblico che raccoglie i metodi di ricerca scientifica che non prevedono la sperimentazione animale. Una vittoria per le organizzazioni animaliste che da tempo chiedono a gran voce di coniugare le necessità della scienza con il rispetto di ogni creatura vivente.

169,5 miliardi di euro in stanziamenti d’impegno e 170,6 miliardi di euro in stanziamenti di pagamento: queste le cifre del budget dell’Unione europea per il 2022, approvato dal Parlamento europeo mercoledì 22 novembre con 550 sì, 77 no e 62 astensioni. Facendo seguito a una proposta presentata dall’eurodeputata dei Verdi Eleonora Evi, è prevista una voce di spesa per la creazione di un database sui modelli sperimentali basati sulla biologia umana e metodi non animali (definiti dalla sigla Nams). Sarà pubblico, automatizzato e basato sull’intelligenza artificiale, per far sì che la comunità scientifica e i comunicati etici abbiano sempre a disposizione tutte le informazioni sulle Nams di successo.

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Giornata del Ringraziamento: animali e terra in primo piano

“Lodate il Signore dalla terra voi, bestie e animali domestici (Sal 148,10). Gli animali, compagni della creazione”.

E’ il tema del messaggio della Cei per la 71* Giornata nazionale del ringraziamento promossa da Coldiretti che si celebra domenica in molte località

La cerimonia religiosa è accompagnata, come consuetudine, dalla benedizione dei prodotti della terra e delle macchine agricole e dalla sfilata dei trattori per le vie del centro.

Bellissimo ritrovarsi per celebrare uno dei momenti più importanti e partecipati del mondo agricolo dopo un anno molto difficile per tutti

La Giornata del Ringraziamento assume un valore ancora più attuale alla luce delle sfide che il mondo pone di fronte alle diverse comunità e all’umanità intera.

Sfide climatiche, economiche ed umane che mettono al centro un’agricoltura sostenibile ed etica. Il messaggio di questa giornata esalta il lavoro dei nostri pastori nella lotta allo spopolamento e all’abbandono dei territori marginali e così dei nostri pescatori e di tutti quei mestieri che si prendono cura del territorio.

Un discorso che vale per tutti.

Come svernano gli animali del bosco

Prosegue la nostra indagine sugli animali che svernano nei boschi e dopo gli uccelli, arriviamo a parlare degli animali che superano il freddo con altri metodi altrettanto intelligenti e certamente da ammirare.

Il letargo

 Il riccio poco prima del letargo invernale che, se disturbato, può anche interrompere.
Foto: Doris Hölling (WSL)

Il letargo viene spesso nominato per primo tra le strategie di sopravvivenza che adottano durante l’inverno le nostre specie selvatiche. Il termine “letargo” presuppone tuttavia alcuni adattamenti fisiologici dell’animale, per cui alcune delle specie che il linguaggio popolare indica come dedite al letargo, in realtà non lo sono affatto.

Gli animali che vanno veramente in letargo sono tutti i pipistrelli, il riccio così come alcuni rappresentanti dei roditori: la marmotta e la famiglia dei ghiri, alla quale appartiene anche il moscardino. Durante il letargo, essi abbassano la loro temperatura corporea a pochi gradi al di sopra del punto di congelamento. Frequenza cardiaca e respirazione vengono rallentati per contenere al minimo il consumo di energia. A volte, quando la temperatura corporea scende al di sotto del valore tipico per la specie, può succedere che l’animale si risvegli e si muova per produrre calore.

Anche il calore prodotto senza muoversi ma bruciando il tessuto adiposo bruno può mantenere la temperatura al livello necessario e salvare gli animali dalla morte per assideramento. Anche per questo il letargo si differenzia dalla diapausa invernale, durante la quale non esiste nessuna regolazione della temperatura corporea. Durante l’inverno, la maggior parte degli insetti, rettili, anfibi, lumache, vermi e pesci entra in questo stato di arresto spontaneo dello sviluppo in cui l’organismo dell’animale è inattivo, non si alimenta e non si muove. Il glucosio immagazzinato funge da “antigelo” ed evita il congelamento dei liquidi corporei di queste specie eteroterme.

Il moscardino, che trascorre il suo letargo per sette mesi nella tana che si costruisce in un luogo protetto in superfice, in autunno produce uno strato di grasso che raddoppia il suo peso. Il piccolo roditore ha bisogno di ogni milligrammo del suo grasso per sopravvivere all’inverno. Ciononostante, la maggior parte dei moscardini (dal 70 all’80 %) muore durante l’inverno. Sopravvivere all’inverno rappresenta una vera e propria sfida per gli animali di queste dimensioni. L’alto rapporto tra superficie corporea e volume corporeo causa notevoli perdite di calore e quindi minori possibilità di sopravvivenza rispetto agli animali di dimensioni maggiori. Questa circostanza ha fatto sì che nel corso dell’evoluzione molti mammiferi e volatili che vivono nelle regioni più fredde siano diventati mediamente più grandi rispetto agli individui della stessa specie che vivono in quelle più calde.

L’ibernazione

Eichhörnchen
In inverno lo scoiattolo si fa vedere solo con il bel tempo.
Foto: Hans Lozza (SNP) 

Esistono anche altri mammiferi che durante l’inverno hanno una maggiore necessità di dormire. Per loro il termine “letargo” è però inopportuno, perché gli adattamenti fisiologici avvengono a livelli molto più bassi o non avvengono affatto.

Nello scoiattolo si osserva una specie di “ibernazione attiva”. In autunno, quando semi, frutti e funghi abbondano, inizia a raccogliere le scorte per l’inverno. Pigne e noci vengono sotterrate ai piedi di grandi alberi o più raramente nei nidi abbandonati dagli uccelli o nelle cavità dei tronchi. A volte capita che durante questa attività lo scoiattolo venga sorpreso da una scaltra ghiandaia che poi si serve dalle sue scorte. Gli scoiattoli appendono addirittura i funghi tra le inserzioni dei piccoli rami, in modo da farli essiccare per il successivo consumo.

Artiodattili a dieta

Rotwild im Winter
Cervi nel paesaggio invernale.
Foto: Marco Walser (WSL) 
Hirsch im Winter
F Un imponente cervo alla ricerca di cibo in inverno.
Foto: Ulrich Wasem (WSL) 

In inverno gli stambecchi vanno alla ricerca di pendii ripidi esposti a sud, dove riescono a raggiungere più facilmente il cibo sotto al manto nevoso. Per lo stesso motivo, i caprioli e i cervi scendono a quote più basse e sono quindi presenti più spesso nelle pianure. La dieta invernale ha un valore energetico molto basso ed è formata prevalentemente da fibre vegetali grezze, mentre in primavera ed estate il menu è composto da gemme e da erbe ricche di proteine e di grassi. Per i biologi, la capacità dei cervi di superare l’inverno senza evidenti adattamenti è rimasta per lungo tempo un mistero.

Modalità di risparmio energetico

Grazie ai moderni sistemi telemetrici e a minuscoli trasmettitori impiantati negli animali è stato finalmente svelato il mistero dello svernamento del cervo nobile: in inverno gli esemplari di questa specie hanno bisogno di meno energia che in estate! Passano infatti in una fase di riposo in cui la temperatura corporea della pelle esterna si abbassa drasticamente. Durante questa fase la frequenza cardiaca scende a meno di 30 battiti al minuto: il metabolismo e la velocità dei movimenti rallentano. Anche se questi adattamenti fisiologici sono paragonabili a quelli di un animale che va in letargo, i cervi non cadono in un sonno che dura vari mesi, ma passano in una modalità di risparmio energetico che dura dalle otto alle dieci ore al giorno.

Nel corso di ulteriori ricerche è emerso che simili strategie vengono adottate anche dallo stambecco. Anche l’offerta naturale di cibo influisce sul bilancio energetico. Per assimilare le fibre grezze, questo ungulato ha bisogno di poca energia. La scomposizione della cellulosa è affidata ai microorganismi presenti nel rumine. Una dieta ricca di proteine e grassi, considerata generalmente più facilmente digeribile, stimolerebbe il metabolismo e renderebbe impossibili queste fasi di riposo. Un’informazione importante per chi si occupa della gestione degli animali selvatici: evitare tassativamente il foraggiamento invernale con mangimi ad alto contenuto energetico. Una dieta ricca di proteine fa passare la selvaggina nello stato estivo e può causare una maggiore attività di morsicatura e scortecciatura, perché le fasi di riposo si interrompono e gli animali devono coprire il maggiore fabbisogno di energia.

Necessario rispetto

In letargo, ibernati o attivi – durante la stagione fredda molti animali selvatici si trovano sulla sottile linea che separa la vita dalla morte. Dal punto di vista biologico ed evolutivo, per molte specie l’inverno svolge una funzione di selezione naturale. Solo gli individui più forti e sani riescono a sopravvivere e a garantire la conservazione della specie. Dal momento che il nostro comportamento può alterare i sensibili meccanismi dello svernamento, è indispensabile tenerne conto alfine di escludere qualsiasi conseguenza negativa per gli animali e l’ambiente.

prima parte https://www.valleintelvinews.it/come-superano-linverno-gli-abitanti-del-bosco/

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Un urlo per la sopravvivenza

 La Fondazione francese 30 Million d’Amis ha lanciato una campagna di sensibilizzazione scioccante e diretta sulle sofferenze inflitte agli animali

Urlano e nessuno li sente, abbandonati, ingabbiati, torturati o feriti. Fa venire i brividi l’ultimo video di 30 Millions d’Amis, l’associazione animalista francese che lancia una campagna choc sulle sofferenze inflitte agli animali e sollecita i candidati all’Eliseo a impegnarsi concretamente per porvi fine. Ma è una cosa che riguarda tutti, indistintamente.

Si intitola “L’appel” il cortometraggio, firmato dal regista difensore della causa animale Bruno Aveillan, di appena un minuto e mezzo, a tratti commovente a tratti ripugnante: una serie di diversi animali domestici e selvatici in situazioni orribili che lanciano un grido di angoscia di fronte al quale gli umani rimangono indifferenti e impassibili. Un video che lascia senza fiato e che arriva all’indomani della decisione proprio della Francia di chiudere definitivamente gli allevamenti di visoni.

Leggi anche: Violenze, maltrattamenti, abbattimenti di massa, caccia illegale: sui diritti degli animali ancora proprio non ci siamo…

Dal cane abbandonato al cervo ferito, passando per una scimmia intrappolata in un laboratorio, un orso sfruttato da un circo al toro durante una Corrida, il messaggio è uno soltanto: non possiamo più chiudere gli occhi, non possiamo più non ascoltare le loro grida di aiuto.

Scompaiono specie animali e vegetali ad un ritmo 1.000 volte superiore al tasso naturale

Desertificazioni e animali scomparsi..ecco lo spettacolo che ad una velocità impressionante, potrebbero trovarsi a vivere le generazioni in un futuro abbastanza prossimo. E questa volta non è una moda parlare di ambiente animale e vegetale.

Il nuovo report“Estinzioni: non mandiamo il pianeta in rosso” pubblicato dal Wwf conferma che siamo nel pieno della sesta estinzione di massa, considerando le prime cinque come fenomeni appartenenti alle precedenti ere geologiche, con un tasso di estinzione di specie animali e vegetali 1.000 volte superiore a quello naturale.

Il Wwf ricorda che «Dal rinoceronte bianco settentrionale, dichiarato estinto nel 2018 con l’ultimo esemplare in cattività e ben prima quelli in natura per colpa dei bracconieri, alla tigre di Giava, scomparsa nel 1979 insieme alle foreste che la ospitavano: l’elenco delle specie estinte negli ultimi due secoli è un lungo cahier des doleances di animali cancellati per sempre dalla faccia della terra a causa dell’uomo. Quello delle estinzioni è un tema che la nostra civiltà industriale si porta dietro da decenni, ma in questi ultimi anni, sotto il peso delle attività umane insostenibili, il fenomeno si è accelerato in modo impressionante».

Dal nuovo rapporto del Panda emerge che «Tra il 1970 e il 2016 il 68% delle popolazioni monitorate di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci hanno subito un forte declino, un conto “in rosso” che il pianeta ci sta presentando insieme alle sue conseguenze su salute e benessere, condizioni possibili solo con ecosistemi sani».

L’associazione ambientalista ricorda che «Il più importante fattore di perdita della biodiversità sui sistemi terrestri è stato ed è tuttora il cambiamento dell’uso dei suoli, a partire dalla conversione degli habitat primari (come le foreste primigenie) trasformate in terreni per la produzione agricola. Negli oceani la perdita di biodiversità è provocata dalla pesca eccessiva. Si aggiungeranno sempre più nel futuro anche gli impatti del cambiamento climatico con fenomeni sempre più devastanti, a partire dagli incendi. L’estinzione genera poi estinzione poiché la perdita di una specie causa un effetto “domino” che favorisce la scomparsa di altre. La pandemia di coronavirus ci ha fatto capire i tanti pericoli legati alla distruzione degli habitat naturali da parte dell’uomo. Interferire e distruggere gli equilibri degli ecosistemi naturali depredando gli habitat provoca nuove emergenze, non solo sanitarie. L’aumento inarrestabile della popolazione umana, la distruzione degli habitat naturali, la deforestazione, il traffico e il commercio di fauna selvatica, gli allevamenti intensivi, l’inquinamento e la crisi climatica sono tutte problematiche in relazione tra loro».

Intanto si svuotano foreste, oceani e zone umide e l’Iucn ha accertato l’estinzione di almeno 160 specie nell’ultimo decennio. Il Wwf avverte che «Questo numero, seppure elevato, rappresenta probabilmente una sottostima, sia per la difficoltà di ricerca sia per la poca conoscenza riguardo alcuni taxa, considerati “minori” (in primis tra gli invertebrati). Le cause e i fattori che portano le specie prima alla rarefazione poi all’estinzione in questo drammatico momento storico sono numerose, e in tutte c’è purtroppo la mano dell’uomo.Il 68% delle popolazioni monitorate di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci hanno subìto un declino tra il 1970 e il 2016. A partire dalla rivoluzione industriale, le attività umane hanno distrutto e degradato sempre più foreste, praterie, zone umide e altri importanti ecosistemi, minacciando il benessere umano. Il 75% della superficie terrestre non coperta da ghiaccio è già stata significativamente alterata, la maggior parte degli oceani è inquinata e più dell’85% della superficie delle zone umide è andata perduta».

Sulla Terra non esiste più nessun  luogo sicuro per le specie selvatiche sul pianeta e per il Wwf  «Il simbolo di quanto la natura più remota e selvaggia sia stata ‘raggiunta’ dagli effetti della nostra insostenibilità, a partire dal cambiamento climatico globale, è proprio l’orso polare(Ursus maritimus).  Il suo habitat è compromesso al punto che se i trend di fusione delle calotte polari e la scomparsa di ambiente idoneo per spostarsi e procacciarsi il cibo proseguiranno come negli ultimi decenni, in soli 35 anni rischiamo di perdere fino al 30% della popolazione di orso polare».

Ma il cambiamento climatico colpisce quasi la metà (47%) dei mammiferi terrestri a rischio di estinzione, esclusi i pipistrelli, e un quarto (23%) degli uccelli a rischio potrebbero essere già essere stati influenzati negativamente dal cambiamento climatico, almeno in parte del loro areale.

Inoltre, come evidenzia il Wwf, «Fra gli effetti disastrosi del cambiamento climatico c’è anche l’intensificarsi degli incendi in varie parti del mondo: il fuoco corre veloce tra le foreste e le savane e gli animali più lenti ne fanno le spese. È il caso del koala (Phascolarctos cinereus) simbolo della fauna australiana, ora in declino nell’Australia orientale».

Un altro segnale che riguarda anche la nostra stessa sopravvivenza  come esseri umani è la scomparsa degli impollinatori: «Vittime dei pesticidi e altri veleni usati in agricoltura: farfalle, api, bombi e altri insetti sono fondamentali per la produzione di cibo a livello globale. Quasi il 90% delle piante selvatiche che fioriscono e oltre il 75% delle principali colture agrarie esistenti necessitano dell’impollinazione animale per riprodursi. Secondo la IUCN, più del 40% delle specie di impollinatori invertebrati rischiano di scomparire. In Europa quasi la metà delle specie di insetti è in grave declino. Il 37% delle popolazioni di api e il 31% delle popolazioni delle farfalle presentano trend negativi».

E poi c’è il bracconaggio, con il quale l’uomo spinge verso l’estinzione animali come la tigre(Panthera tigris), «Cacciata per alimentare uno dei fenomeni più difficili da sradicare perché molto redditizio, il commercio illegale di animali o parti di essi. Le tigri sono anche minacciate dai conflitti con le attività umane, come l’allevamento di bestiame. A questi si aggiungono altri pericoli sul lungo termine tra cui la perdita delle foreste convertite in piantagioni commerciali e la scomparsa delle prede naturali. In natura rimangono circa 3.900 tigri con popolazioni residue sparse nelle sempre più frammentate foreste che si estendono tra l’India e la Cina sudorientale e dall’estremo oriente russo al Sud-Est asiatico. Dagli anni ’90 sono aumentate le uccisioni per vendetta, spesso compiute per mezzo del veleno, per proteggere il bestiame. Questi conflitti si stanno diffondendo anche in uno dei più importanti territori abitati dalle tigri nel sud-est asiatico, il Belum-Temengor in Malesia, dove dal 2009 al 2018, il numero delle tigri ha fatto registrare un drammatico calo del 50%. Nell’ultimo secolo la popolazione di tigre a livello globale si è ridotta del 96%, passando dai 100.000 esemplari ai circa 3.900 odierni».

I criminali della natura sono sempre in agguato anche per l’elefante di savana (Loxodonta africana) e l’elefante di foresta (Loxodonta cyclotis): entrambe le specie nel 2021 sono state per la prima volta incluse nelle categorie di rischio più elevato della lista rossa della Iucn.

Per non stare solo a guardare mentre il Pianeta va “in rosso” e dare la possibilità ad ognuno di fare la sua piccola ma grande parte, il WWF Italia lancia la Campagna “A Natale mettici il cuore”: adottando o regalando l’adozione simbolica di un animale in pericolo su wwf.it/adozioninatale2021 si potranno infatti sostenere tutti i progetti Wwf a tutela della biodiversità che rischiamo di perdere per sempre.

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Baldassarre Monge, il nuovo socio di Mediobanca, è il re del cibo per animali.

Molti dei nostri amici cani e gatti vengono nutriti con i prodotti Monge, cibo giudicato dai veterinari di buona qualità, ebbene questa è la storia del signor Baldassare Monge, colui che ha fatto una fortuna nutrendo i nostri animali.

Negli ultimi mesi la fisionomia dell’azionariato di Mediobanca ha subìto variazioni non secondarie. Vincent Bolloré ha ridotto la sua partecipazione, la Delfin di Leonardo Del Vecchio (fondatore di Luxottica) ha a sua volta aumentato la quota mentre il 23 ottobre 2020 Monge & C. Spa, azienda piemontese attiva nel Pet food e semi-sconosciuta al salotto buono della finanza, è entrata – tramite la società fiduciaria e di servizi, Servizio Italia – nel capitale dell’istituto di Piazzetta Cuccia con l’1,003%, investendo circa 57,8 milioni di euro. La comunicazione di Consob è arrivata solo a inizio novembre suscitando la curiosità del mercato intorno a questa realtà piemontese nata nel 1963 a Monasterolo di Savigliano, in provincia di Cuneo.

Il basso profilo della famiglia Monge

Poco si sa per volontà della stessa famiglia capitanata da Baldassarre Monge, fondatore della prima azienda in Italia a produrre wet food, arrivata oggi alla terza generazione con i tre figli Domenico, Sandra e Franca che gestiscono l’azienda insieme ai nipoti, tutti impegnati e coinvolti in prima persona. “La nostra è una bella avventura ma preferiamo avere un low profile”, ha spiegato di recente il d.g. Luciano Fassa, in azienda da 20 anni dopo esperienze in Procter&Gamble e Danone.

L’azienda è nata negli anni Sessanta quando parlare di cibo per animali era un azzardo. La società è partita tra tante difficoltà quando nelle ciotole degli animali di casa arrivavano esclusivamente gli avanzi delle pietanze umane e un altro approccio non era contemplato dai consumatori. La famiglia del fondatore aveva già un’azienda attiva nel settore avicolo che ha permesso di sviluppare questa seconda attività che è poi diventata prevalente.

Baldassarre Monge andava a visitare i clienti in bicicletta

Oltre 50 anni fa Baldassarre Monge andava a visitare i clienti di persona, in bici e in treno, e molti gli domandavano che cosa ne facesse dei polli che non utilizzava e delle materie prime nobili che non venivano impiegate per uso umano: da lì l’idea di costruire un nuovo business.

Nel 2019 Monge ha realizzato 255 milioni di euro di fatturato e il 2020 ha fatto registrare un record storico. Il mercato è promettente in quanto il numero di animali potrebbe aumentare così come la richiesta di cibo industriale è in crescita. L’ambizione è accrescere quote di mercato in un segmento difficile dove la realtà piemontese compete con grandissimi gruppi e multinazionali. La società ha archiviato il 2020 con ricavi per 322 milioni (+21%), un ebitda salito da 37,44 a 50,69 milioni e un utile passato da 19,87 a 24,16 milioni destinato per intero a riserva straordinaria. Il tutto a fronte di un patrimonio netto di 432,7 milioni e debiti bancari per 26,45 milioni. Lo scorso anno Monge, approfittando delle norme vigenti, ha rivalutato il marchio portandolo a 255 milioni. Il management ha già messo nero su bianco che il 2021 sta registrando valori in crescita.

Un business ramificato in 100 Paesi

L’azienda sfiora i 100 Paesi serviti con prodotti Monge (vende la private label) e la sfida è crescere in Italia e all’estero. La società conta 300 dipendenti e 120 venditori. Domenico, Sandra e Franca conoscono i dipendenti per nome (più di 20 nazionalità sono presenti nell’impresa).

Che cosa faranno della quota in Mediobanca? La famiglia non esclude di aumentare la partecipazione qualora si presentasse l’opportunità giusta sul mercato. Da tempo investe in Mediobanca anche se solo in tempi recenti ha superato l’1%, anche grazie alla stima per la gestione dell’a.d. Alberto Nagel che è stato in grado di traghettare la banca in modo saldo anche in tempi di crisi, aumentando gli utili.

Il patto di consultazione sul capitale di Mediobanca dopo l’uscita della famiglia Benetton li ha accolti al suo interno con il loro l’1,09%. E ora, con questo ingresso, raggruppa circa il 10% del capitale. Il patto potrebbe rafforzarsi ulteriormente da qui a fine anno. Potrebbero arrivare manifestazioni di interesse da soggetti esterni mentre i soci già presenti hanno la capienza per rafforzarsi ulteriormente.

Inoltre la famiglia piemontese ha deciso di puntare 3,64 milioni su Unicredit per scommettere sulle mosse del nuovo ceo Andrea Orcel e del piano industriale in arrivo.

BONUS ANIMALI DOMESTICI

Milano: padroni e animali tumulati nella stessa tomba

Bonus animali per tutti coloro che ne hanno uno in casa. Con la legge di Bilancio 2021, infatti, è stato riconfermato il bonus animali domestici e con gli italiani sempre più un popolo di ‘pet friendly’, testimoniato dal boom di adozioni di cani nella fase post lockdown, ecco che si tratta di un’agevolazione molto gradita. Se in una famiglia ci sono due o più animali domestici, il bonus potrà essere richiesto una sola volta.

Bonus animali domestici, cosa è

Il bonus animali domestici consiste in una detrazione fiscale del 19% sulle spese veterinarie, a patto però che i pagamenti siano tracciabili.
Rispetto al 2020, quest’anno c’è un innalzamento della soglia massima della spesa detraibile; passa infatti da 500 a 550 euro complessivi. Nessuna variazione invece per la franchigia, che è sempre pari a 129,11 euro. Le spese veterinarie sono detraibili fino ad un tetto massimo del 19% e quindi, considerando la franchigia fissata, ne consegue che il rimborso massimo è di 80 euro. Esempio: se una famiglia ha sostenuto un costo complessivo annuo di 550 euro per le visite veterinarie, va sottratta la franchigia di 129,11 euro. Sulla differenza che è di 420,89 euro va calcolata la detrazione fiscale del 19% (rimborso Irpef) e si arriva così ad una somma di 79,96 euro, che è il rimborso massimo previsto dal bonus.

Bonus animali domestici 2021, le spese detraibili

Le spese detraibili riguardano le visite specialistiche e veterinarie, gli interventi di chirurgia; gli esami in laboratorio; l’acquisto di farmaci specifici.

Bonus animali domestici, a chi spetta

Per accedere al bonus animali domestici, occorre essere cittadini residenti sul territorio italiano e aver sostenuto le spese con un mezzo di pagamento tracciabile. I richiedenti devono comunque dimostrare di essere i proprietari legali dell’animale. Per quanto riguarda i proprietari di cani, bisogna presentare i documenti della sua iscrizione all’Anagrafe Canina e quelli relativi al microchip, mentre chi ha un gatto potrà o fornire i documenti d’acquisto oppure quelli relativi ai microchip (se impiantati).

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