Prima Guerra Mondiale. Uomini, Soldati, Eroi… E Animali…

Durante la Grande Guerra, oltre ai sacrifici immani dei soldati, un altro contributo a quella
vittoria va ricordato ed onorato, ed è quello offerto da centinaia di cani, per lo più di razza
maremmana-abruzzese, adibiti al traino ed al trasporto di viveri e munizioni negli scenari
bellici.
In una Relazione della brigata Pistoia del 1916, conservata dall’Ufficio Storico
dell’Esercito, si legge: “L’addestramento dei cani non richiede molto tempo, e presto si
abituano allo scoppio vicino dei proiettili d’artiglieria. Rispetto ai muli, i cani possono
giungere, allo scoperto, in maggiore prossimità della prima linea e il loro mantenimento è
di pochissimo costo”.
I cani prestarono servizio non solo in pianura ma anche nei contesti montani più impervi e
pericolosi, come quelli della “guerra bianca” che si sviluppò nelle Alpi, dalle Giudicarie
all’Adamello-Presanella e all’Ortles-Cevedale, a 3000 metri e con temperature che
nell’inverno 2017 toccarono i 30 gradi sotto lo zero, con valanghe rovinose ed
abbondantissime nevicate.
In questo scenario proibitivo muli ed asinelli si ammalarono di polmonite, e furono ben
presto sostituiti dai cani.
E così i cani da gregge, requisiti in tutto l’Appennino, dopo aver sfidato il caldo torrido del
deserto nella guerra di Libia, dove avevano suscitato l’ammirazione del col. inglese Edwin
H.Richardson furono di nuovo “richiamati” per affrontare il ghiaccio e le nevi delle Alpi.
“Robusti, volenterosi….fra le stanghe dei loro carrettini, col petto affannato le brave bestie
guardano il soldato che le guida…hanno imparato, conoscono la strada; il frastuono del
combattimento non li spaventa. E vanno al fuoco come veterani”, dirà di loro Luigi Barzini,
nel suo libro “Al fronte”, mentre ne “La Lettura”, rivista mensile del Corriere della Sera, nel
dicembre 1919 si legge: “sui monti si attaccavano quasi sempre in tre alla troika ed
assicuravano, rifornendole, il mantenimento di posizioni talmente avanzate che sarebbero
state altrimenti insostenibili. Sull’Adamello i cani sommarono presto a cinquecento; su tutta
la fronte, nel 1917, furono oltre tremila… I cani da guerra sono stati dei soldati, in tutto e
per tutto. Avevano, per quanto preparata in modo speciale, la stessa razione del
soldato…ebbero anche le loro vittime e le loro glorie sanguinose. E’ stata calcolata per
essi una mortalità del sessanta per cento per ferite e malattie…La razza migliore e più
resistente si è dimostrata quella dei pastori dell’Alto Abruzzo, dai bei lunghi mantelli per lo
più bianchi, non di rado macchiati di scuro”.
Del resto che il contributo dei cani fosse risultato determinante si desume anche da una
compiaciuta menzione nella Relazione del Comando Supremo diramata il 23 marzo 1917
sotto la supervisione del gen.Cadorna, in cui si legge:
“Infine è da ricordare il largo aiuto dato ai trasporti ordinari in alta montagna dai cani da
guerra, dimostratisi assai resistenti al freddo, capaci di trainare in pariglia, con qualunque
tempo, anche in mezzo alla tormenta, una slitta con carichi da 70 a 80 chilogrammi”.
Un commosso apprezzamento ricorre anche nelle memorie del gen. Quintino Ronchi,
comandante dal 1917 del settore Adamello-Alta Val Camonica. Ne “La Guerra
sull’Adamello”, edito nel 1921, il gen. Ronchi ricorda:
“Nell’estate del 1916 si sperimentò un gruppo di cani per il traino di slitte sui ghiacciaio, poi
il numero aumento’ gradualmente… Preziosi animali. Erano in prevalenza razza da
pastore requisiti negli Appennini ed addestrati al canile militare di Bologna. Mantello per lo
più bianchi, non di rado macchiati di scuro”.
Del resto che il contributo dei cani fosse risultato determinante si desume anche da una
compiaciuta menzione nella Relazione del Comando Supremo diramata il 23 marzo 1917
sotto la supervisione del gen.Cadorna, in cui si legge:
“Infine è da ricordare il largo aiuto dato ai trasporti ordinari in alta montagna dai cani da
guerra, dimostratisi assai resistenti al freddo, capaci di trainare in pariglia, con qualunque
tempo, anche in mezzo alla tormenta, una slitta con carichi da 70 a 80 chilogrammi”.
Un commosso apprezzamento ricorre anche nelle memorie del gen. Quintino Ronchi,
comandante dal 1917 del settore Adamello-Alta Val Camonica. Ne “La Guerra
sull’Adamello”, edito nel 1921, il gen. Ronchi ricorda:
“Nell’estate del 1916 si sperimentò un gruppo di cani per il traino di slitte sui ghiacciaio, poi
il numero aumento’ gradualmente… Preziosi animali. Erano in prevalenza razza da
pastore requisiti negli Appennini ed addestrati al canile militare di Bologna. Mantello di
massima bianco, pelo ricciuto, alti, forti, intelligentissimi, dimostrarono subito uno spiccato
adattamento ed un eccezionale resistenza ai rigori del clima…Con attacchi a tre a tre
trainavano le slitte con un carico utile da 130 a 150 kg. Erano quasi tutti dislocati a Passo
Garibaldi in una grande baracca costruita ad uso canile con doppie pareti e sollevata di
circa un metro sul piano della neve. Avevano una razione quasi identica a quella del
soldato e quindicinalmente il capitano della Sussistenza faceva loro omaggio dei rifiuti di
macelleria… Nessuna malattia contagiosa ebbe mai a svilupparsi. I loro nomi erano quelli
comuni alla stirpe canina, ma non mancavano quelli chiamati Crispi, Garibaldi ecc. ecc…
Iniziavano il servizio all’alba e di massima compivano due viaggi giornalieri dal Passo
Garibaldi ai centri di Passo Lobbia, Passo Fargorida e teleferica del Cavento.
Complessivamente trasportavano dai 150 a 200 quintali di carico al giorno… Nell’inverno
durante la tormenta, erano meravigliosi. Il gelo ricopriva la loro testa, il collo, le zampe di
ghiaccioli, il nevischio sferzava i loro occhi ed essi con le code basse, soffiando dalle nari,
procedavano instancabilmete attraverso quel paesaggio lunare… Erano
disciplinatissimi…”
E quanto dura fosse la vita a quelle altezze è lo stesso Ronchi a descrivercelo:
“Il combattente viveva nel ghiaccio e ad una altitudine che logora e disturba e che affatica
enormemente anche gli organismi più perfetti. Non un filo di verde che riposasse la vista,
non un sorso d’acqua che non fosse quello avuto dalla neve liquefatta al fuoco. Un silenzio
infinito, un vuoto opprimente, un clima contro il quale non vi era riparo, un gelo che
uccideva, una tormenta che rendeva impossibile il movimento e il respiro, un cumulo di
neve che affogava. Cento metri di percorso spesso fiaccavano un uomo. ”
Eppure i cani da gregge degli Appennini fecero il loro dovere fino in fondo, anche nel
trasporto dei feriti con apposte slitte-barelle.
Il cap. Alfredo Patroni li ricorda “quasi tutti bianchi, dal pelo fitto e ondulato, intelligenti” e,
nel suo libro “La conquista dei ghiacciai 1915-1918” ce ne tramanda il coraggio scrivendo:
“neppure essi tremarono mai, sotto il piombo nemico, non vacillarono mai, sull’orlo degli
abissi e nelle tormente, ma soffrirono anch’essi, da forti, il freddo, gli stenti e le fatiche e
nessuno di questi cari amici dell’uomo, come nessun alpino dei ghiacciai, disertò mai
difronte al nemico…Durante la battaglia i cani moltiplicarono gli sforzi e le attività, sfidando
impavidi le mitraglie nemiche e le valanghe per trasportare le munizioni ed i viveri ai loro
compagni impegnati nella battaglia”.
Anche per questo appare meritoria ed opportuna l’iniziativa del Circolo del Pastore
Maremmano Abruzzese che, nel centenario della Vittoria, ha voluto apporre una targa
commemorativa nel Museo della Guerra Bianca di Temù, ai piedi dell’Adamello, affinchè
non vada perduta la memoria del sacrificio di questi nostri amici, umili eppur grandi eroi a
quattro zampe.
E per concludere non ci si può non soffermare sulla voce secondo cui negli ultimi mesi di
guerra, sull’onda dell’avanzata, i nostri reparti alpini avrebbero abbandonato i cani legati
alla catena i cani e questi sarebbero in parte morti di fame ed in parte si sarebbero liberati,
diventando randagi aggressivi e pericolosi che poi sarebbero stati abbattuti a fucilate dagli
abitanti di Temù. Ristabiliamo la verità: questa notizia, che è spesso rimbalzata nel mare
del web, dove le fake news imperversano senza ritegno e dove molti analfabeti seriali
parlano senza conoscere e senza citare fonti documentali, e’ contenuta nel libro di Folco
Quilici “Storia degli animali nella grande Guerra”, in cui viene riportata come una
confidenza raccolta da un abitante anonimo di Temù nel 1960, e riferita peraltro,
testualmente, a “cani addestrati a combattere a fianco dei nostri Soldati ."
Ora, intendiamoci: tutto va storicizzato ed oltre un secolo fa, in condizioni tanto difficili in
cui spesso non c’era pietà per gli uomini, è possibile che ai cani non sia stato assicurato
ilmassimo del confort, ma va escluso che un corpo tradizionalmente affezionato agli
animali come gli Alpini (leggendario il binomio mulo-alpino) possa essersi comportato con
tanta crudeltà. In reparti in cui certo le munizioni non difettavano, non sarebbe stato più
semplice sopprimere i cani con un colpo di pistola piuttosto che lasciarli morir di fame?
Sembra proprio una bufala o, come la definisce Lucio Fabi, storico esperto del ruolo degli
animali nella prima guerra mondiale, “una leggenda di guerra denigratoria nei confronti dei
soldati italiani… nessuno storico la conferma… non ci sono le fonti…”
Un‘altra circostanza mi sembra importante e, direi, risolutiva nello sfatare la leggenda
infame dell’abbandono di questi cani. Ernesto Tron, nel suo volume “Il Cane” del 1954,
scrive tra l’altro : ”… Il cane Turco si guadagnò i galloni di caporale, concesssigli dal
comandante della Brigata Umbria. Si era in Cadore e si trattava di far arrivare l’acqua
potabile alla truppa in trincea attraverso una zona scopertissima… l’incarico venne affidato
a Turco che lo assolse a meraviglia. Egli partiva coi bidoncini pieni, attraversava come una
freccia la zona pericolosa e ritornava con i bidoni vuoti, dopo essere stato ricevuto lassù
alla mensa degli Ufficiali.
ALLA FINE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE I CANI REDUCI EBBERO ANCH’ESSI
LA LORO SFILATA TRIONFALE A MILANO, il 20 settembre 1919”. Ed in effetti, a
conferma della notizia citata dal Tron, nel fascicolo del dicembre 1919 de “La Lettura” A.
Splendori scrive : "… I cani che hanno fatto la guerra tornano talvolta con lo stesso
cerimoniale delle brigate gloriose. Di recente alcune squadre attraversarono Milano fra ali
di popolo e riscossero la loro parte di applausi… Così come si pensò di utilizzare
l’aviazione nei servizi civili di pace, si pensa ora di impiegare i cani sull’esempio della
Svizzera, Olanda, Belgio dove latte, verdure, pane si distribuiscono dai mercati sulle
tipiche carrette trainate dai cani… Bisogna farli conoscere nel loro numero e intutte le loro
virtù, i cani smobilitati… e di questo il Ministero della Guerra ha dato l’incarico
all’Associazione nazionale fra Mutilati e Invalidi di guerra, mettendo a sua disposizione i
cani smobilitati ed il relativo materiale d’attacco”.
Da questi documenti d’epoca si evince che la “leggenda” dell’abbandono è una bufala
totale, bella e buona, anche se, ovviamente, nessuno può escludere che si siano verificati
casi isolati e sporadici di abbandono. In generale, però, i cani “reduci”, come era giusto e
come si meritavano, ebbero festeggiamenti e interessamento per il loro futuro.
PER NON DIMENTICARE
Foto Archivio Storico ritrae i cani al Fronte, sul Passo Monte Croce Carnico al fianco dei
Soldati Italiani durante la Grande Guerra
Si ringrazia Pierangelo Botto per la preziosa collaborazione e segnalazione.
IL SOLDATO DIMENTICATO. La storia di Giovanni Battista Faraldi (Leucotea Edizioni
Sanremo). In tutte le Librerie e Webstore.
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