Sistemando alcuni miei siti abbastanza datati mi è capitato di leggere il blog che tenevo quando mio papà, malato di alzheimer, aveva distrutto tutte le certezze della mia esistenza.

Il dolore era così forte per le sue condizioni di salute e l’impotenza nel soccorrerlo era così tanta, che non riuscivo più nemmeno a pensare alla mia di famiglia, a mio marito, ai miei figli e al mio cane (allora il cane di turno era Flora, un schnauzer gigante nera).
Il mio papà ha sempre avuto un ruolo speciale nella mia vita, il fatto che fosse stato deportato e non presente alla mia nascita, probabilmente ci aveva legato indissolubilmente, anche se gli accadimenti non erano certo da imputare a noi, era anche una questione di carattere, io e lui avevamo lo stesso temperamento nell’affrontare la vita.
Vederlo sempre più assente, sempre più debole, ma ancora in grado di riconoscermi mi distruggeva, aveva anche dovuto essere ricoverato in ospedale per un collasso e questo lo aveva relegato inesorabilmente su una sedia a rotelle. Eppure lui non demordeva, chiedeva di essere portato fuori, si faceva capire e sorrideva quando con lui e la badante uscivo anch’io con Flora.
Solo qualche mese prima papà riusciva a tirarle la pallina, e gioiva quando lei gliela riportava e abbaiava in attesa del prossimo tiro. Ad un certo punto della vita si ritorna bambini e mio papà era ritornato indietro nel tempo, lui aveva sempre amato i cani, a volte tornava dal lavoro con un cucciolino in tasca e faceva la felicità mia e di mia sorella, poi inesorabilmente mia mamma trovava il modo di regalare il cane a qualche altra famiglia.
Flora forse era ora un sogno avverato per lui, finalmente aveva un cane vicino, la accarezzava con tocco incerto tutte le volte che gli si sedeva accanto: un uomo infermo con un cane può essere la felicità se si pensa con il cuore. Papà e Flora ora sono in un enorme prato verde, papà corre con lei e forse entrambi pensano un poco anche a me.
Manuela Valletti