che spettacolo…

Fotografia: Danny Lawson/PA

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che spettacolo…
Sono compagni fantastici, ma i cani provano davvero empatia per gli umani e cosa passa loro per la testa quando giocano, si fanno prendere dal panico o attaccano?
IOÈ la grande frustrazione dell’umanità guardare negli occhi un cane, sentirsi così vicino alla creatura e tuttavia non avere idea di cosa stia pensando. È come la prima domanda che fai a un bambino appena nato, con tutta quell’urgenza dolorosa e amorevole: è un primo sorriso? O ancora più vento? Tranne che è così per sempre.
Non posso mai sapere cosa stia pensando il mio staff. Romeo si rende conto che quello che ha appena fatto è stato divertente e lo ha fatto apposta? Sta ridendo dentro? Può sorridere? Può sentirsi in ansia per il futuro? Riuscirà a ricordare la vita da cucciolo? Ha ancora il clacson, anche se gli ho tolto le mutande qualche anno fa? E, più di tutte queste cose: mi ama? Voglio dire, mi ami davvero, nel modo in cui amo lui?
Per ottenere alcune risposte, ho arruolato un gruppo di esperti, che vanno da uno zoologo a un antropologo evoluzionista, e ho incanalato lo spirito di Jaak Panksepp, che è comunemente riconosciuto come il nonno delle neuroscienze canine. È morto nel 2017, lasciando dietro di sé un corpo di ricerche sperimentali e intuizioni, inclusa la teoria che tutti i cervelli dei mammiferi condividano sette sistemi emotivi primari: paura, rabbia, lussuria, “ricerca”, panico/dolore, cura e gioco. La maggior parte delle mie domande rientra in queste categorie, a parte l’annoso enigma: perché il mio cane si eccita così tanto per i cordini ad alta visibilità? A cui la risposta è: potrebbe essere qualsiasi ragione.
I cani capiscono la risata umana? Ti fanno ridere apposta?
“I cani sembrano rispondere positivamente alle nostre emozioni positive, come risate e sorrisi”, afferma il dottor Brian Hare, antropologo evoluzionista e autore di The Genius of Dogs . Ma è cauto sull’interpretazione. “Se capiscono il motivo dietro lo scherzo, è più difficile da dire.”
“I cani hanno imparato a piacerci che ridiamo”, afferma Rob Alleyne, un comportamentista apparso nella serie TV Dog Borstal . “Faranno qualcosa, poi ti guarderanno per vedere se sei divertito, poi lo ripeteranno.” Una volta ho chiesto al comico Rob Beckett come faceva a ricordare la sua routine – non prende quasi appunti – e lui ha detto: “Se 500 persone ridono di qualcosa che hai detto, non lo dimenticherai”. Lo stesso circuito di approvazione, creando sentimenti di gratificazione, stabilendo un ricordo di come suscitare quella risposta in futuro, si sta verificando in un cane. Non sarà solo un gioco di parole, sarà qualcosa di più slapstick.
I cani possono ridere e si fanno ridere a vicenda?
Uno dei filoni più famosi della ricerca di Panksepp esamina la risata nei mammiferi non umani (incluso un articolo dal titolo delizioso: Cinguettio a 50 kHz (risate?) in risposta alla ricompensa indotta dal solletico condizionato e incondizionato nei ratti). I cani, ha scoperto, possono sembrare che ridono quando ansimano , ma è perché lo sono: quando analizzi il pantalone con un sonografo, poi mappi la sua raffica di frequenze, quindi riproduci quelle frequenze ad altri cani, riduce lo stress e aumenta lo scodinzolamento della coda, il gioco di inchini (testa in basso, testa in aria), la faccia da gioco (conosci la faccia da gioco del tuo cane) e il comportamento pro-sociale in generale.
Può un cane sorridere?
Tutti i cani hanno un’espressione di piacere o contentezza, che riconoscerai quando conoscerai un particolare animale. Tuttavia, i proprietari di alcune razze credono che i loro cani siano più sorridenti della media e quindi più felici. Questo è sbagliato, dice Alleyne. “In genere, i cani con la faccia larga – staff, rottweiler – sembrano sogghignare. La stessa espressione di un pastore tedesco sembrerà che stia arricciando le labbra all’indietro”.
Il mio cane mi ama?
Molti anni fa c’era un segmento su Kilroy, il programma televisivo diurno, chiamato “Amo il mio animale ma il mio animale mi ama?” Alleyne è apparso su di esso e ricorda: “Alla fine il pubblico era pronto con una forca per me. Perché credo che nessun animale ci ami. Fanno cose che interpretiamo come amore, ma non ne hanno la capacità, non il modo in cui lo intendiamo. Ecco perché possiamo riportarli a casa. Non potevo allontanarti dal tuo partner e dire: “Ho un amico che è molto più adatto a te”. Se invece prendessi Romeo e lo dessi a qualcun altro, tre mesi dopo, quello sarebbe il suo proprietario». Un punto a favore, ma se Romeo morisse, tre mesi dopo, probabilmente avrei un nuovo cane. Quindi cosa succede se ci amiamo l’un l’altro esattamente la stessa quantità? E se l’insostituibilità non fosse la misura, nelle relazioni interspecie?
Sintonizzare noi stessi con i desideri di un’altra specie ha un profondo impatto sulla nostra cognizione, secondo la filosofa Donna Haraway
Se non è amore, perché è così bello?
“Sei decisamente più di un distributore di cibo”, dice Hare. “I genitori e i loro bambini hanno un ciclo di ossitocina, dove possono sentirsi bene l’un l’altro semplicemente guardandosi negli occhi. In qualche modo, i cani si sono inseriti in questo circuito, in modo che quando cani e proprietari si fissano l’un l’altro, aumenta l’ossitocina sia nel cane che nel proprietario .
Cosa diavolo ci fa un cane nel mio ciclo di ossitocina?
La moderna comprensione dell’addomesticamento canino – illustrata appieno in The Genius of Dogs di Hare e nel libro che ha scritto insieme a Vanessa Woods, Survival of the Friendly – è che la selezione per l’amicizia ha portato all’evoluzione di una nuova cognizione nei cani . Hanno acquisito una comprensione sociale di ciò che gli umani volevano e volevano, nei loro gesti e comandi, e il beneficio per i cani è evidente: riparo, nutrizione e quant’altro. Ma la filosofa Donna Haraway sostiene, in Companion Species Manifesto: Dogs, People and Significant Otherness, che sintonizzarci con i desideri di un’altra specie ha un profondo impatto sulla nostra cognizione. Non si tratta davvero di cosa sta succedendo nella testa del tuo cane. È solo interessante.
Il mio cane può entrare in empatia?
Nessun esperto in vita può dirti che il tuo cane non sa quando sei triste . Alleyne, che, come puoi vedere, è piuttosto duro, ricorda: “Molti anni fa avevo un cane che mi riconosceva quando ero a terra. Teneva la testa sul mio ginocchio per un’ora, dicendo: ‘Capisco’”. Possono anche dire, a volte, quando hai il cancro o, più recentemente, il Covid, ma si tratta più di biorilevazione che di intimità.
Una semplice misura di empatia è lo sbadiglio. “Lo sbadiglio contagioso è correlato ai punteggi di empatia negli adulti”, spiega Hare. “E in uno studio, oltre il 70% dei cani ha sbadigliato quando ha visto qualcuno sbadigliare”.
Perché i cani soffrono di ansia da separazione?
A rigor di termini, la maggior parte di loro non lo fa, secondo Petrina Firth, direttore della società The Pet Coach e specialista in questa condizione. Dice di aver incontrato solo un cane nella sua carriera con ansia da separazione clinica: un attaccamento eccessivo a una persona. Ciò che le persone generalmente intendono con il termine nei cani – comportamento distruttivo, ululare per ore, a volte mordicchiare le caviglie quando vengono indossate le scarpe del proprietario, sdraiarsi davanti alla porta – è “angoscia da isolamento”, generalmente stabilito nell’infanzia. Il tuo cane non si sente al sicuro da solo e farà di tutto per evitare quella sensazione amorfa di pericolo. “Non vengono pre-programmati”, spiega Firth. “Quando esci da Marks & Spencer, non sanno che tornerai tra un’ora. Ci vuole un bel po’ di allenamento da quando sono un cucciolo per insegnare loro che stare da soli va bene, non succede niente di male. Non succederà niente di straordinario, ma niente di male”.
Come fanno a sapere quanto tempo sei stato via? I cani hanno il senso del tempo?
Se dai da mangiare al tuo cane alla stessa ora ogni giorno, il suo sistema digestivo si adatterà per aspettarsi il cibo in quel momento e, sorprendentemente, può essere preciso al minuto. Lo stesso vale per i gatti .
Ma un cane che può essere lasciato per 40 minuti, ma che impazzisce dopo 45 minuti, di che si tratta? La migliore teoria attuale è che il tuo profumo nell’aria si ritiri minuziosamente nel tempo. Ogni volta che stai cercando di capire un comportamento correlato all’odore, ricorda che gli umani possono sentire l’odore di un cucchiaio di zucchero in una tazza di tè, mentre un cane può sentire l’odore di un cucchiaio di zucchero in una piscina.
Qual è la differenza tra angoscia e ansia?
Questo è principalmente per lo sviluppo: un cane giovane sperimenterà angoscia nel momento: “Sono da solo e non mi piace”. Quando invecchia, dice Firth, “comincerà a preoccuparsi che avrà quella sensazione orribile – preoccuparsi di preoccuparsi, che è essenzialmente l’ansia. E ci sono molti spunti nell’ambiente, come gli umani che trovano le chiavi, per farli esplodere”.
Un cane può ricordare eventi negativi? Può ottenere PTSD?
Le prime esperienze avverse possono certamente influenzare il comportamento successivo di un cane, sebbene la memoria a lungo termine non sia sufficientemente compresa per consentirci di sapere se possono ricordarli. I cani guida di ritorno dalle zone di guerra presentano sintomi molto simili alla risposta al trauma nei soldati.
Un cane sterilizzato ha ancora voglia di sesso?
Sembra una di quelle cose che gli umani dovrebbero capire prima di fare il colpo. Eppure a quanto pare non lo facciamo. “È una domanda complessa, senza una risposta facile”, afferma la zoologa Naomi Harvey. “Può dipendere dai tempi della sterilizzazione. L’espressione del comportamento riproduttivo richiede ormoni gonadici e l’assenza di questi ormoni durante lo sviluppo del cervello puberale può compromettere il comportamento riproduttivo a lungo termine”. Ci si aspetterebbe che entrambi i sessi abbiano un impulso ridotto se sterilizzati prima della pubertà, quindi, tuttavia, uno studio sui cani maschi in libertà in Cile ha scoperto che i cani castrati non hanno mostrato alcuna riduzione dell’attività sessuale.
Qual è la causa principale dell’aggressività?
I cani hanno il nostro stesso sistema limbico, che manifestano quelle che erano le due F e ora sono intese come quattro: sotto minaccia, entreranno in modalità lotta, fuga, cerbiatto o congelamento. (Gli esseri umani hanno un altro percorso verso la violenza, che è l’umiliazione, ma un cane non può essere umiliato. “Hanno la complessità emotiva di un bambino di due o tre anni”, spiega Firth, “quindi non si sentono in colpa e non provano vergogna.”)
Gli attacchi sono radicati nella paura e “uno dei motivi per cui le persone vengono spesso morse”, dice Alleyne, è che interpretano male i segni della paura. “Un cane che ansima potrebbe essere solo caldo o potrebbe essere stressato. Un cane con “occhio di balena” [dove i bianchi sono chiaramente visibili] potrebbe essere stressato o potrebbe guardare qualcosa alla sua periferia. Devi essere in grado di guardare il quadro generale. Se ha l’occhio di balena, e sta ansimando, e la sua coda è abbassata, e le sue orecchie sono indietro, allora passa dall’ansimare al leccarsi le labbra, devi essere in grado di mettere insieme tutte queste cose”. E mantieni le distanze.
Perché alcuni cani attaccano gli altri senza una ragione apparente?
Hare consiglia, come fa Alleyne, di leggerlo bene. “Alcuni cani sono xenofobi, il che significa che non amano gli estranei. Quindi solo incontrare uno strano cane potrebbe creare abbastanza paura da fargli sentire come se avesse bisogno di proteggersi. Molta aggressività dei cani è spiegabile se hai una buona comprensione della storia naturale, del linguaggio del corpo e del comportamento dei cani.
La spiegazione di Alleyne è più controversa: “L’aggressività è di gran lunga il problema più comune che vedo, cosa che non era 20 anni fa. Siamo stati vittime di bullismo e indotti a socializzare i nostri cani. Sono diventati aggressivi l’uno verso l’altro quando non abbiamo mai cercato di socializzare con più forza. Non abbiamo pensato a cosa sia socializzare: quello che stiamo facendo davvero è permettere che vengano picchiati da altri cani quando sono troppo piccoli per proteggersi. Lo chiamiamo apprendimento a prova unica: basta un singolo incidente perché un cucciolo impari che gli altri cani sono una minaccia”.
Perché cercano? Cosa stanno cercando?
In sostanza, i cani non vogliono più del neozelandese medio, come dicono i politici: un posto dove vivere, qualcosa da fare, qualcuno da amare, qualcosa in cui sperare, tranne che senza la speranza, senza un vero concetto del futuro. Ma secoli di interazione con gli umani hanno dato loro desideri intensi e specifici per razza. Prendi il cane del momento, il cockapoo: “La gente non si rende conto che la miscela è di due cani da lavoro”, dice Firth. “Quindi, anche se hai il cocker da spettacolo più carino e il barboncino da spettacolo più carino, nei loro geni sono destinati a essere fuori a recuperare.”
Non sto cercando di far vergognare i proprietari di cockapoo, a proposito: ho sempre avuto personale, e sono costantemente stupito e sgomento nello scoprire che un cane allevato per abbattere un toro, in assenza di uno, si accontenta con un labrador. Abbiamo insegnato loro, nel corso delle generazioni, questi impulsi irremovibili. Ora sono qui per insegnarci causa ed effetto, se solo ascoltassimo.
“Lodate il Signore dalla terra voi, bestie e animali domestici (Sal 148,10). Gli animali, compagni della creazione”.
E’ il tema del messaggio della Cei per la 71* Giornata nazionale del ringraziamento promossa da Coldiretti che si celebra domenica in molte località
La cerimonia religiosa è accompagnata, come consuetudine, dalla benedizione dei prodotti della terra e delle macchine agricole e dalla sfilata dei trattori per le vie del centro.
Bellissimo ritrovarsi per celebrare uno dei momenti più importanti e partecipati del mondo agricolo dopo un anno molto difficile per tutti
La Giornata del Ringraziamento assume un valore ancora più attuale alla luce delle sfide che il mondo pone di fronte alle diverse comunità e all’umanità intera.
Sfide climatiche, economiche ed umane che mettono al centro un’agricoltura sostenibile ed etica. Il messaggio di questa giornata esalta il lavoro dei nostri pastori nella lotta allo spopolamento e all’abbandono dei territori marginali e così dei nostri pescatori e di tutti quei mestieri che si prendono cura del territorio.
Un discorso che vale per tutti.
Prosegue la nostra indagine sugli animali che svernano nei boschi e dopo gli uccelli, arriviamo a parlare degli animali che superano il freddo con altri metodi altrettanto intelligenti e certamente da ammirare.
Il letargo viene spesso nominato per primo tra le strategie di sopravvivenza che adottano durante l’inverno le nostre specie selvatiche. Il termine “letargo” presuppone tuttavia alcuni adattamenti fisiologici dell’animale, per cui alcune delle specie che il linguaggio popolare indica come dedite al letargo, in realtà non lo sono affatto.
Gli animali che vanno veramente in letargo sono tutti i pipistrelli, il riccio così come alcuni rappresentanti dei roditori: la marmotta e la famiglia dei ghiri, alla quale appartiene anche il moscardino. Durante il letargo, essi abbassano la loro temperatura corporea a pochi gradi al di sopra del punto di congelamento. Frequenza cardiaca e respirazione vengono rallentati per contenere al minimo il consumo di energia. A volte, quando la temperatura corporea scende al di sotto del valore tipico per la specie, può succedere che l’animale si risvegli e si muova per produrre calore.
Anche il calore prodotto senza muoversi ma bruciando il tessuto adiposo bruno può mantenere la temperatura al livello necessario e salvare gli animali dalla morte per assideramento. Anche per questo il letargo si differenzia dalla diapausa invernale, durante la quale non esiste nessuna regolazione della temperatura corporea. Durante l’inverno, la maggior parte degli insetti, rettili, anfibi, lumache, vermi e pesci entra in questo stato di arresto spontaneo dello sviluppo in cui l’organismo dell’animale è inattivo, non si alimenta e non si muove. Il glucosio immagazzinato funge da “antigelo” ed evita il congelamento dei liquidi corporei di queste specie eteroterme.
Il moscardino, che trascorre il suo letargo per sette mesi nella tana che si costruisce in un luogo protetto in superfice, in autunno produce uno strato di grasso che raddoppia il suo peso. Il piccolo roditore ha bisogno di ogni milligrammo del suo grasso per sopravvivere all’inverno. Ciononostante, la maggior parte dei moscardini (dal 70 all’80 %) muore durante l’inverno. Sopravvivere all’inverno rappresenta una vera e propria sfida per gli animali di queste dimensioni. L’alto rapporto tra superficie corporea e volume corporeo causa notevoli perdite di calore e quindi minori possibilità di sopravvivenza rispetto agli animali di dimensioni maggiori. Questa circostanza ha fatto sì che nel corso dell’evoluzione molti mammiferi e volatili che vivono nelle regioni più fredde siano diventati mediamente più grandi rispetto agli individui della stessa specie che vivono in quelle più calde.
Esistono anche altri mammiferi che durante l’inverno hanno una maggiore necessità di dormire. Per loro il termine “letargo” è però inopportuno, perché gli adattamenti fisiologici avvengono a livelli molto più bassi o non avvengono affatto.
Nello scoiattolo si osserva una specie di “ibernazione attiva”. In autunno, quando semi, frutti e funghi abbondano, inizia a raccogliere le scorte per l’inverno. Pigne e noci vengono sotterrate ai piedi di grandi alberi o più raramente nei nidi abbandonati dagli uccelli o nelle cavità dei tronchi. A volte capita che durante questa attività lo scoiattolo venga sorpreso da una scaltra ghiandaia che poi si serve dalle sue scorte. Gli scoiattoli appendono addirittura i funghi tra le inserzioni dei piccoli rami, in modo da farli essiccare per il successivo consumo.
In inverno gli stambecchi vanno alla ricerca di pendii ripidi esposti a sud, dove riescono a raggiungere più facilmente il cibo sotto al manto nevoso. Per lo stesso motivo, i caprioli e i cervi scendono a quote più basse e sono quindi presenti più spesso nelle pianure. La dieta invernale ha un valore energetico molto basso ed è formata prevalentemente da fibre vegetali grezze, mentre in primavera ed estate il menu è composto da gemme e da erbe ricche di proteine e di grassi. Per i biologi, la capacità dei cervi di superare l’inverno senza evidenti adattamenti è rimasta per lungo tempo un mistero.
Grazie ai moderni sistemi telemetrici e a minuscoli trasmettitori impiantati negli animali è stato finalmente svelato il mistero dello svernamento del cervo nobile: in inverno gli esemplari di questa specie hanno bisogno di meno energia che in estate! Passano infatti in una fase di riposo in cui la temperatura corporea della pelle esterna si abbassa drasticamente. Durante questa fase la frequenza cardiaca scende a meno di 30 battiti al minuto: il metabolismo e la velocità dei movimenti rallentano. Anche se questi adattamenti fisiologici sono paragonabili a quelli di un animale che va in letargo, i cervi non cadono in un sonno che dura vari mesi, ma passano in una modalità di risparmio energetico che dura dalle otto alle dieci ore al giorno.
Nel corso di ulteriori ricerche è emerso che simili strategie vengono adottate anche dallo stambecco. Anche l’offerta naturale di cibo influisce sul bilancio energetico. Per assimilare le fibre grezze, questo ungulato ha bisogno di poca energia. La scomposizione della cellulosa è affidata ai microorganismi presenti nel rumine. Una dieta ricca di proteine e grassi, considerata generalmente più facilmente digeribile, stimolerebbe il metabolismo e renderebbe impossibili queste fasi di riposo. Un’informazione importante per chi si occupa della gestione degli animali selvatici: evitare tassativamente il foraggiamento invernale con mangimi ad alto contenuto energetico. Una dieta ricca di proteine fa passare la selvaggina nello stato estivo e può causare una maggiore attività di morsicatura e scortecciatura, perché le fasi di riposo si interrompono e gli animali devono coprire il maggiore fabbisogno di energia.
In letargo, ibernati o attivi – durante la stagione fredda molti animali selvatici si trovano sulla sottile linea che separa la vita dalla morte. Dal punto di vista biologico ed evolutivo, per molte specie l’inverno svolge una funzione di selezione naturale. Solo gli individui più forti e sani riescono a sopravvivere e a garantire la conservazione della specie. Dal momento che il nostro comportamento può alterare i sensibili meccanismi dello svernamento, è indispensabile tenerne conto alfine di escludere qualsiasi conseguenza negativa per gli animali e l’ambiente.
prima parte https://www.valleintelvinews.it/come-superano-linverno-gli-abitanti-del-bosco/
La Fondazione francese 30 Million d’Amis ha lanciato una campagna di sensibilizzazione scioccante e diretta sulle sofferenze inflitte agli animali
Urlano e nessuno li sente, abbandonati, ingabbiati, torturati o feriti. Fa venire i brividi l’ultimo video di 30 Millions d’Amis, l’associazione animalista francese che lancia una campagna choc sulle sofferenze inflitte agli animali e sollecita i candidati all’Eliseo a impegnarsi concretamente per porvi fine. Ma è una cosa che riguarda tutti, indistintamente.
Si intitola “L’appel” il cortometraggio, firmato dal regista difensore della causa animale Bruno Aveillan, di appena un minuto e mezzo, a tratti commovente a tratti ripugnante: una serie di diversi animali domestici e selvatici in situazioni orribili che lanciano un grido di angoscia di fronte al quale gli umani rimangono indifferenti e impassibili. Un video che lascia senza fiato e che arriva all’indomani della decisione proprio della Francia di chiudere definitivamente gli allevamenti di visoni.
Dal cane abbandonato al cervo ferito, passando per una scimmia intrappolata in un laboratorio, un orso sfruttato da un circo al toro durante una Corrida, il messaggio è uno soltanto: non possiamo più chiudere gli occhi, non possiamo più non ascoltare le loro grida di aiuto.
Molti dei nostri amici cani e gatti vengono nutriti con i prodotti Monge, cibo giudicato dai veterinari di buona qualità, ebbene questa è la storia del signor Baldassare Monge, colui che ha fatto una fortuna nutrendo i nostri animali.
Negli ultimi mesi la fisionomia dell’azionariato di Mediobanca ha subìto variazioni non secondarie. Vincent Bolloré ha ridotto la sua partecipazione, la Delfin di Leonardo Del Vecchio (fondatore di Luxottica) ha a sua volta aumentato la quota mentre il 23 ottobre 2020 Monge & C. Spa, azienda piemontese attiva nel Pet food e semi-sconosciuta al salotto buono della finanza, è entrata – tramite la società fiduciaria e di servizi, Servizio Italia – nel capitale dell’istituto di Piazzetta Cuccia con l’1,003%, investendo circa 57,8 milioni di euro. La comunicazione di Consob è arrivata solo a inizio novembre suscitando la curiosità del mercato intorno a questa realtà piemontese nata nel 1963 a Monasterolo di Savigliano, in provincia di Cuneo.
Poco si sa per volontà della stessa famiglia capitanata da Baldassarre Monge, fondatore della prima azienda in Italia a produrre wet food, arrivata oggi alla terza generazione con i tre figli Domenico, Sandra e Franca che gestiscono l’azienda insieme ai nipoti, tutti impegnati e coinvolti in prima persona. “La nostra è una bella avventura ma preferiamo avere un low profile”, ha spiegato di recente il d.g. Luciano Fassa, in azienda da 20 anni dopo esperienze in Procter&Gamble e Danone.
L’azienda è nata negli anni Sessanta quando parlare di cibo per animali era un azzardo. La società è partita tra tante difficoltà quando nelle ciotole degli animali di casa arrivavano esclusivamente gli avanzi delle pietanze umane e un altro approccio non era contemplato dai consumatori. La famiglia del fondatore aveva già un’azienda attiva nel settore avicolo che ha permesso di sviluppare questa seconda attività che è poi diventata prevalente.
Oltre 50 anni fa Baldassarre Monge andava a visitare i clienti di persona, in bici e in treno, e molti gli domandavano che cosa ne facesse dei polli che non utilizzava e delle materie prime nobili che non venivano impiegate per uso umano: da lì l’idea di costruire un nuovo business.
Nel 2019 Monge ha realizzato 255 milioni di euro di fatturato e il 2020 ha fatto registrare un record storico. Il mercato è promettente in quanto il numero di animali potrebbe aumentare così come la richiesta di cibo industriale è in crescita. L’ambizione è accrescere quote di mercato in un segmento difficile dove la realtà piemontese compete con grandissimi gruppi e multinazionali. La società ha archiviato il 2020 con ricavi per 322 milioni (+21%), un ebitda salito da 37,44 a 50,69 milioni e un utile passato da 19,87 a 24,16 milioni destinato per intero a riserva straordinaria. Il tutto a fronte di un patrimonio netto di 432,7 milioni e debiti bancari per 26,45 milioni. Lo scorso anno Monge, approfittando delle norme vigenti, ha rivalutato il marchio portandolo a 255 milioni. Il management ha già messo nero su bianco che il 2021 sta registrando valori in crescita.
L’azienda sfiora i 100 Paesi serviti con prodotti Monge (vende la private label) e la sfida è crescere in Italia e all’estero. La società conta 300 dipendenti e 120 venditori. Domenico, Sandra e Franca conoscono i dipendenti per nome (più di 20 nazionalità sono presenti nell’impresa).
Che cosa faranno della quota in Mediobanca? La famiglia non esclude di aumentare la partecipazione qualora si presentasse l’opportunità giusta sul mercato. Da tempo investe in Mediobanca anche se solo in tempi recenti ha superato l’1%, anche grazie alla stima per la gestione dell’a.d. Alberto Nagel che è stato in grado di traghettare la banca in modo saldo anche in tempi di crisi, aumentando gli utili.
Il patto di consultazione sul capitale di Mediobanca dopo l’uscita della famiglia Benetton li ha accolti al suo interno con il loro l’1,09%. E ora, con questo ingresso, raggruppa circa il 10% del capitale. Il patto potrebbe rafforzarsi ulteriormente da qui a fine anno. Potrebbero arrivare manifestazioni di interesse da soggetti esterni mentre i soci già presenti hanno la capienza per rafforzarsi ulteriormente.
Inoltre la famiglia piemontese ha deciso di puntare 3,64 milioni su Unicredit per scommettere sulle mosse del nuovo ceo Andrea Orcel e del piano industriale in arrivo.
Prendiamo spunto da questo articolo pubblicato oggi per continuare la nostra battaglia contro la caccia. Un inutile crudeltà verso animali inermi viene perpetrata da uomini armati che si dicono amanti dello sport e della natura.
Non è così e nessuno riuscirà a convincerci del contrario. Che sport può essere quello di sparare una svetolata di pallini a dei poveri uccelli di cui se tutto va bene non potrai poi nemmeno mangiare.
La caccia è legittima solo per estrema necessità di trovare cibo, altrimenti che si vada a fare il tiro al piattello e si eviti di uccidere per il piacere di farlo.
Associazione Proprietari Responsabili
APRITALIA.ORG
Ennesimo incidente di caccia, questa volta nel Frusinate al Serrone, dove un cacciatore ha sparato a una donna, mentre era intento a prendere la mira con il suo fucile, per uccidere un animale. Una tragedia sfiorata rispetto a quella di dieci giorni a Tolfa, dove un cacciatore ha ucciso a fucilate il compagno di attività venatoria.
Un cacciatore ha sparato per uccidere un animale selvatico, ma ha sbagliato mira e ha ferito una donna. L’episodio, l’ennesimo incidente di caccia, tra i centinaia che ogni anno, come la Lac – Lega Abolizione Caccia – ha spiagato a Fanpage.it, si verificano a causa dell’attività venatoria e che coinvolgono non solo cacciatori, ma anche civili, è accaduto nel pomeriggio di ieri, sabato 30 ottobre, nel territorio del Comune di Serrone, in provincia di Frosinone. Secondo le informazioni apprese il cacciatore, avendo trovato un animale, lo aveva puntato con il suo fucile, ma qualcosa è andato storto. Il proiettile ha raggiunto una donna che si trovava nei paraggi e che probabilmente era impegnata con il lavoro in campagna, che è rimasta ferita. A soccorrerla per prima è stato il cacciatore stesso, che le ha prestato aiuto chiamando il Numero Unico delle Emergenze 112 e chiedendo l’intervento di un’ambulanza. Sul posto, ricevuta la segnalazione, è intervenuto il personale sanitario, che ha soccorso la donna e l’ha trasportata in ospedale. Arrivata al pronto soccorso di Colleferro, la paziente è stata presa in cura dai medici. Da quanto si apprende fortunatamente non è grave, il proiettile l’ha infatti colpita solo di striscio, senza ferirla in modo serio.
Dieci giorni fa un cacciatore ha ucciso il compagno a fucilate
Un episodio che si è concluso con il lieto fine, una tragedia sfiorata, che avrebbe potuto avere esiti ben più gravi. Data la ferita provocata con arma da fuoco, è stato necessario l’intervento dei carabinieri di competenza territoriale. I militari hanno ascoltato il cacciatore, per svolgere gli accertamenti necessari al caso e per ricostruire la dinamica dell’accaduto. Uno degli ultimi gravi drammi legati alla caccia nel Lazio risale ad una decina di giorni fa, quando in una zona boschiva di Tolfa, in provincia di Roma, un cacciatore ha sparato e ucciso il compagno di attività venatoria a fucilate, perché lo ha scambiato per un animale.
Il legame fra uomo e animale domestico è sempre esistito ma, nel tempo, si è andato probabilmente rafforzando e intensificando. Sono sempre di più le famiglie allargate che contano al proprio interno anche un cane o un gatto. Non si tratta di una scelta banale: accogliere nella propria casa un piccolo amico a quattro zampe vuol dire non solo decidere di prendersi cura della sua vita, ma soprattutto significa cambiare la propria, e nettamente in meglio.
Quando nella nostra casa entra un piccolo amico a quattro zampe, che sia un cane o un gatto, la nostra vita riceve una quantità di valori positivi immediatamente: riempiono le nostre giornate di entusiasmo, di grandi momenti di gioco, di un affetto smisurato e di una fedeltà incondizionata, con tantissime passeggiate, corse, e tutto questo chiedendo in cambio solo qualche crocchetta e un po’ di coccole. Ma cosa succede quando stiamo per avere un bambino o, al contrario, quando già abbiamo un figlio e pensiamo di prendere anche un animale domestico? Sì tratta di una scelta giusta? Anticipiamo la risposta: sì, senza dubbio!
L’effetto positivo dell’ingresso di un animale domestico nella nostra casa non si rispecchia solo in noi, ma anche sui nostri figli. Hai mai sentito parlare di pet therapy? Un bambino che cresce con un cane o con un gatto (o, perché no, con entrambi) è maggiormente stimolato da tantissimi punti di vista: innanzitutto attraverso il gioco costante e le emozioni che suscita in lui, il nostro piccolo impara prima i valori dello scambio e dell’amicizia, avendo la possibilità di interagire sotto diverse forme, scoprendo il linguaggio sia verbale che non verbale. Accresce la propria autostima e la propria sicurezza poiché percepisce di essere importante per il suo piccolo amico a quattro zampe. Ovviamente questo avviene immediatamente con il cane mentre con il gatto, che ha un’indole diversa e una maggiore indipendenza, questo si svilupperà di solito verso i due anni.
Purtroppo, però, sia il cane che il gatto hanno una caratteristica che è destinata a farci soffrire: la loro vita media è decisamente più breve della nostra e, per questo, prima o poi saremo costretti a vederli andare via per sempre. Quello che possiamo fare è salutarli nel modo che meritano, magari con una fotoceramica per cane o gatto che ci permetta di portarli per sempre nel nostro cuore, in ricordo di tutti quei momenti fantastici e di quell’amore incondizionato che sono stati in grado di regalarci.